Mt 7,16
Non c'è migliore espressione che questa del Vangelo di Matteo per sintetizzare il pensiero di Bellet. Lontano da ogni impostazione dottrinaria, convinta di conoscere sempre tutto a priori e disposta a negare l'evidenza pur di salvaguardare l'integrità del sistema, così come da ogni impianto disciplinare, che riconduce tutto al “si deve” ed è insensibile ad ogni problema “non codificato”, Bellet pone a fondamento di tutto l'uomo: non la categoria astratta dalla U maiuscola, ma quello concreto, attuale, portatore della sua esperienza storica e personale (che, seppur non universale, non è per tanto meno reale). In breve, l'uomo carico della sua esperienza di vita.
Bellet è convinto che l'uomo, per vivere una vita integralmente umana, non abbia bisogno né di una teoria, che pretende di inquadrare ogni esperienza in termini di ortodossia e devianza, né di una morale prefabbricata, tesa ad indirizzare e giudicare in anticipo ogni comportamento. L'uomo ha bisogno di ascolto. Dell'ascolto e della parola dell'altro, forme di quell'amore reciproco che rende umana la vita e permette all'uomo di non doversi giustificare per il fatto di esistere, e di essere accettato così com'è. Amore che in definitiva è Dio stesso (come Bellet ricorda rifacendosi ad Agostino): «Dio e l’uomo non si sommano, è nelle cose e nelle persone che Dio è Dio. All’amore tra noi Dio non si aggiunge: vi si manifesta».
Bellet cerca in ogni modo di non usare un linguaggio in tutto e per tutto cristiano, per evitare che parole pur ricchissime ma ormai abusate possano fuorviare il lettore riconducendolo a schemi vetusti e logori; non si tratta quindi di eccesso di critica nei confronti del cristianesimo, ma del tentativo di aprire lo spazio di un linguaggio nuovo che, senza rinunciare all'esigenza del rigore, restituisca la voce a quanti si sentono incapaci di ridurre la propria esperienza a misura della regola dei più, e a quanti, per converso, vorrebbero con tutto il cuore sentirsi parte di quei “più”, ma vengono continuamente additati come “fuori legge”.
Ricordare a ciascuno che “non c'è uomo condannato” e che, anche se “a volte si perde il gusto di vivere”, esiste sempre una strada per ritrovarlo: questo è il fine della filosofia di Bellet. Per essere all'altezza del quale bisogna imparare a dire parole che non semplicemente “dicano” l'amore, ma che siano in grado di darlo. Dai frutti le riconosceremo.
(«L’Altrapagina», giugno 2008, p. 40)
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